Anche su questo film ne ho sentite di tutti i colori. L’unico elemento comune alle critiche è che l’uso degli effetti speciali e del trucco per ringiovanire e invecchiare i protagonisti è magistrale. Ma andiamo con ordine.

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Benjamin Button nasce nel 1918 già vecchio: un neonato tutto raggrinzito e pieno di artrosi come un centenario. La madre muore dandolo alla luce e il padre, non riuscendo ad accettare un bambino con siffatte forme, lo abbandona davanti a una casa di riposo per anziani. Lì il bimbo cresce e diventa grande, ringiovanendo di anno in anno, come se l’orologio biologico per lui andasse al contrario. A questa storia si intreccia quella della donna che amerà per tutta la vita, Daisy. Vediamo (non è uno spoiler, tranquilli) Daisy alla fine dei suoi giorni mentre all’ospedale la figlia rilegge il diario di Benjamin e ne scopre la vita, venendo a conoscenza di una parte dell’esistenza di sua madre che ignorava totalmente.

Il film di David Fincher – regista di Fight Club, per intenderci – è un’epopea piuttosto lunga, a tratti emozionante, ma che sembra sempre rimanere in superficie, senza entrare troppo nella realtà delle cose. Attraversa in maniera anche troppo sognante alcuni passaggi storici americani, aggiungendo a mio avviso troppi eventi che impediscono, invece, di andare a fondo su altri temi dell’evoluzione del personaggio che andrebbero trattati. Cate Blanchett, che interpreta Daisy, è semplicemente stupenda e dimostra ancora una volta la sua grandezza di attrice, arricchendo il film con un’interpretazione sublime (se vedete la versione originale, noterete come moduli la timbrica vocale specie quando recita la parte della donna anziana), e pure Brad Pitt, per quanto non lo trovi eccelso, interpreta bene il suo ruolo.