Verrebbe da scriverci su in triestino – il dialetto in cui canta Toni Bruna e che è pure il mio, di dialetto – ma frenerò i miei istinti. E’ che ho l’impressione di parlare di casa, a raccontare qualcosa sul suo disco. Ricorda tanti altri, Bruna, quando canta in atmosfere malinconiche (e verrebbe da dire post-rock proprio per l’abuso del termine). E invece, è unico. Credo sia per il cantato in dialetto, per prima cosa, un dialetto che non vuol parodiare nulla e che sembra soltanto la vera voce dell’anima, e poi la pulizia delle melodie, no a riverberi, no a troppi effetti e a cinque minuti di ronzii o suoni distorti come si usa tanto. Poi i testi, ovviamente. Che sulle prime non li ho capiti tutti e un po’ mi stupivo, insomma, è pur sempre anche la mia “lingua” natale. Eppure, nel suo modo di cantare non mi ha dato fastidio sentire gli echi di altri cantanti o gruppi, me lo ha reso invece più vicino. E non fa niente se vi sfuggirà ancora qualcosa dei testi, lasciate che sia tutto il resto a parlare.

Io lo ho ascoltato a ripetizione, per un bel po’.

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Oltre al suo sito rigorosamente in versione triestin-inglese dove trovate un po’ di materiale, vi segnalo un’altra opinione comunque concordante, dove troverete anche un’intervista al cantante.