In un bar una sera un amico racconta al regista israeliano Ari Folman l’incubo di essere rincorso da cani inferociti. Lo considera un effetto della guerra che ha combattuto in Libano, dove, non essendo in grado di uccidere esseri umani, gli fecero uccidere i cani che di notte abbaiavano al passaggio dei soldati. Ne uccise 26, e se lo ricorda ancora. In quel momento Folman si accorge di aver completamente rimosso quel periodo della sua vita, durante la guerra che condusse al massacro di Sabra e Chatila negli anni Ottanta. Ricostruendo attraverso le testimonianze dei suoi commilitoni e di altre persone che presero parte agli eventi, riesce a recuperare una memoria che credeva perduta.

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L’utilizzo di una tecnica di animazione che mescola il disegno tipico dei fumetti con la grafica realistica caratterizza tutto il film, con un effetto a tratti estraniante ed efficace soprattutto negli unici momenti dove l’animazione non è utilizzata, con un risultato di contrapposizione scioccante. Realizzato in ben quattro anni, alla sua uscita (un anno fa) il film è stato subito apprezzato su larga scala, oltre quel pubblico di nicchia al quale sembrava rivolto, e a ragione. Vincitore di un Golden Globe come miglior film straniero del 2009, questo film invita a riflettere, tutti, in una sorta di analisi collettiva a più livelli (non a caso diverse parti sono vere e proprie sedute dall’analista), per evitare di rimuovere e assumersi le responsabilità di quanto è accaduto tra israeliani e palestinesi. A tratti forse troppo giustificazionista con l’esercito israeliano, composto perloppiù da giovani inesperti mandati allo sbaraglio, che spesso sembrano non accorgersi nemmeno di stare in guerra ma in una specie di gita scolastica, sarebbe interessante indagare sulla volontà o meno di togliersi il peso dalle spalle per scaricare il barile delle colpe su altri, consapevoli e collaborazionisti, come i comandanti e i governatori dell’epoca.