Ero stata attratta da: titolo, locandina, recensione introduttiva, argomento (il film è tratto dall’omonimo libro di Stieg Larsson).

Uscendo dal cinema, nonostante l’ora tarda (dura 2.30 h), è nata una breve discussione su ciò che definisce un film e quello che invece si chiamerebbe cinema… È complesso da spiegare in poche parole, il succo è la sensazione che si ha mentre si guarda il film di star guardando un film da cinema o da tv, diciamo. Uno degli indizi è che se si fatica a tener a mente i personaggi dall’inizio, forse è un film tv, anche se non si può circoscrivere a questo e non è detto che sia sempre così. Se la discussione prende il via, argomenteremo meglio il tutto.

Questo breve cappello introduttivo per dire che, come avrete capito, è un film di quelli che potresti guardare una sera alla tivù per noia. Si spaccia per un thriller, ma io che sono una spettatrice solitamente attenta e spaventabile, verso la fine mi son scappati tre sbadigli almeno, e si intuisce da troppo tempo prima chi è l’assassino (non è il maggiordomo, ma…). Insomma, i colpi di scena non son tanto riusciti, a mio parere. Invece, voglio spendere due parole sull’attrice principale, Noomi Rapace, che è davvero brava e bella nei panni di una giovane controversa ricercatrice dark piena di piercing e tatuaggi (Lisbeth Salander), e che ha fatto un lodevole lavoro sul personaggio.

Chi ha letto il libro dice come sempre che non c’è paragone tra tutto il materiale scritto e la sua trasposizione cinematografica. Non credo lo leggerò, e mi fido. Sono, però, rimasta impressionata dalla violenza di alcune scene (che nel libro si dice siano ancora più numerose), e fondamentalmente dalla ricchezza del personaggio femminile principale, che non trovo per niente “parente di Pippi Calzelunghe”, come alcuni l’hanno definita, ma abbastanza vicina a Philip Marlowe versione donna, moderna e determinata ad andare avanti nonostante le capiti di tutto.