Sono rientrata più o meno in forma dopo una mezza settimana veramente intensa a sevilla, dove si è tenuta dal 29 ottobre al 2 novembre “the world music expo”, meglio nota come Womex 2008.

Foto di Edvard Molnar

I numeri sono notevoli, e li potete vedere dal loro sito, qualcosa come tremila operatori del settore che si dividono i centinaia di stand presenti alla fiera principalmente dal giovedì al sabato. Sebbene la lingua ufficiale sia l’inglese, dopo qualche giorno la maggior parte dei partecipanti che hanno contatti per ore e ore di seguito con persone provenienti dai luoghi più disparati, mastica bene anche l’esperanto e il linguaggio dei segni. E’ divertente soprattutto quando si ha a che fare con espositori koreani, per i quali i segni che suppliscono a carenze espressive sono del tutto diversi da quelli di un occidentale, e si rischia di creare incidenti diplomatici notevoli! Si incontra comunque gente di tutti i tipi e spesso sono persone interessanti con le quali si finisce a parlare di qualche tribù sconosciuta di cui quel tal musicista ha raccolto canti antichi di millenni, o dell’andamento del malconcio (e certo non è il solo) mercato musicale o editoriale.

Non avendo l’entusiasmo delle prime volte, questo terzo anno di fiera mi ha colpito solo per la varia umanità e per l’organizzazione tedesca puntuale. Poi qui e lì ho assistito a qualche showcase interessante alla sera, anche se niente di folgorante. Volendo proprio fare dei nomi, ho apprezzato il galiziano Xosé Manuel Budiño, il perfetto canto intonato a cappella di A Filetta per tre canzoni, LA-33 e il loro mambo rockeggiato (nonché il bel cantante, non me ne vogliate!), qualcosa del Magnifico e nuovamente Enzo Avitabile coi bottari, merito forse dell’amica produzione che era presente e che mi ha insegnato a ballare la tammuriata a suon di castagnole! Per essere una donna del Nord mi dicono che sono stata brava…

Dei tre chili abbondanti di cd che ho portato a casa ne ho ascoltati alcuni, ma per ora nemmeno lì ho molto da segnalare. E questo è il guaio di una fiera di tale portata: ti ritrovi in mano cose che non c’entrano per nulla con il genere di musica di cui ti occupi, il che potrebbe essere un bene anche se raramente sono belle scoperte. La frenesia di fine fiera poi è la mia preferita, quando centinaia tra artisti e manager più o meno improvvisati girano per stand di ogni tipo (scommetto che dopo quello in cui mi trovavo io, festival di musica folk, hanno visitato e mollato – giusto per non sbagliare – qualche cd anche allo stand per la sicurezza sulle strade).

Come in tutte le fiere di settore, dunque, il senso è “esserci a tutti i costi”, i risultati poi, si vedranno…